We un-happy few




In fatto di ricostruzioni storiografiche un certo grado di generalizzazione è sempre necessario: sta alla bravura di chi scrive mantenersi in equilibrio tra la distruzione dell'individualità e la riduzione dei processi sociali a pochi, grandi gesti dei leaders. Per questo definire una generazione- ossia un insieme sociale caratterizzato dall'essere nato e vissuto in un dato momento e paese- non è mai affare semplice, e si corre sempre il rischio di dire troppo, o troppo poco.

Nell'anno di grazia 2021 credo che si possa avviare un tentativo di definizione in merito per chi, come chi scrive, è nato tra il 1989 e il 1995, un lustro denso di avvenimenti e ormai lontano trent'anni. Non ci fermeremo però al dato anagrafico: mi piacerebbe trattare di quella porzione nemica dell'ordine liberale. Insomma, di quei quattro desperados che affollano Twitter postando ormai per disperazione meme intrisi di sarcasmo e noia.

Identificarsi in fondo è un primo passo per prendere coscienza della propria condizione. La storia personale di ognuno credo si possa riassumere in elementi pressoché comuni al 99%: 

  1. nascita in una famiglia normale, con una situazione economica tipica della Prima Repubblica;
  2. infanzia e primi approcci sociali in realtà di provincia, con esperienze quotidiane e modi di vivere assai simili (se non uguali) alle generazioni immediatamente precedenti;
  3. nella prima fase, grossomodo fino alle medie, modesta presenza dell'informatica, "socialità" del gioco digitale (chi legge a questo punto non potrà non sorridere ricordando il Supernintendo, PES 2 o il Game Boy);
  4.  adolescenza contraddistinta dalle avvisaglie della crisi;
  5. fine liceo e periodo universitario contraddistinto dalla plumbea cappa mortale del governo Monti-Letta, squagliamento della rete sociale, radicalizzazione del dissenso, incapacità a trovare una realtà comprensibile e comprensiva;
  6. tentativi solitari di auto-coscienza: approdo sui sacri blog non ancora sputtanati (con meritorie eccezioni a là Paolo Barnard);
  7. momento speranza (la ruota della Storia) tra il 2016 e il 2017: Brexit, elezioni di Trump, caduta di Renzi, lotta all'ultimo voto della Le Pen prima del tradimento finale;
  8. apoteosi del giovin antieuropeista con il 2018 e il governo giallo-verde: "ora ci siamo";
  9. stasi (2018-2019) e disillusione sovranara;
  10. emergenza (sic) Covid;
  11. lettori di OTIVM;

Ora vorrei aprire, se possibile, un dibattito e capire se questi punti siano più o meno corrispondenti alla vostra realtà. Il motivo è semplice: l'unica possibilità di lotta nella Storia viene da quelle forze dominate e poste ai margini dal Potere, dotate di consapevolezza e coscienza della propria alterità.

Naturalmente il dato fondamentale è quello di classe, ma per avere dei punti di contatto con quanto scritto sopra è evidente dover condividere quell'appartenenza alla bonanima del grande ceto medio italiano ante-euro, la cui distruzione è il motivo primario dello sfacelo attuale. In sostanza, l'ultima generazione della Prima Repubblica è già oggi la prima a essere certamente proletarizzata, con il plus di trovarsi in una realtà alienante e totalmente antitetica a quella in cui è cresciuta.

Ad essa, però, appartiene anagraficamente il domani: su questo punto una forza politica seria avrebbe dovuto ragionare da molto tempo, come la porcilaia liberale fa da tempo coltivando i rampolli idioti delle Università borghesi (sì, quei 23enni che ciarlano di imprenditorialità e viva-la-troika). Contro quest'ultimi dovrebbero ergersi quanti, come chi scrive, hanno ancora in mente il mondo di ieri e non accettano di dover vivere in una normalità fondata sul più demente totalitarismo antiumano.

Perciò scrivete nei commenti, compagni e camerati, la vostra traiettoria e vediamo di capire se la mitica "base" corrisponde a quei 10 punti.



Commenti

  1. Sì, nel mio caso con una decina di anni di anticipo essendo io classe 1978. Il percorso umano è stato comunque quello.

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    1. Naturalmente non escludo che i punti possano comprendere altre periodizzazioni anagrafiche, mi sono limitato alla mia esperienza personale. Non vi sono limitazioni di sorta.

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  2. Come maschio, bianco ed etero classe '93 mi ci rispecchio appieno. Ci sarebbe poi da discutere sulla diversità degli approcci sociali di provincia, che sono simili ma non uguali in tutta la penisola (ma questa è una mia opinione non suffragata da esperienze o fatti e, come tale, possiamo derubricarla a mero orpello discorsivo). Mentre scrivo i miei si stanno preparando per andare a messa e noto, con stupore, che mio padre sfoggia delle nuove braghe di velluto "a coste". Gli ho appena fatto notare che sono pantaloni decisamente da persona anzianotta, ma lui, sornione, risponde che lo fa solo per provocarci. Grande uomo mio padre, come molti della sua generazione iniziò a lavorare dopo la terza media, riuscendo a costruirsi casa nel '90 e metter su famiglia senza troppe apprensioni o difficoltà insormontabili. Memoria vivente del tempo che fu' e delle prime disgrazie in nome del "ce lo chiede l'Europa", come ad esempio il prelievo forzoso (alias "bail in", ma in inglese fa più figo) sui conti correnti del governo Amato del '92 (i miei si erano fatti accreditare da poco sul conto i 15 milioni del mutuo, oltre al danno la beffa). Tornando a noi: a metà febbraio inizio il mio nuovo lavoro a tempo indeterminato nel settore PUBBLICO (Regione Veneto), dopo due anni di lavoro nel privato (ho una laurea in Ingegneria Civile). Scelta sofferta, ma dettata dalla consapevolezza che, attualmente, nel settore privato non ci sono i presupposti per iniziare a pianificare la vita e metter su famiglia. Tale consapevolezza nasce dall'approdo ai sacri blog (Bardard, Bagnai, Barra Caracciolo in primis), grazie ai quali ho capito il giochetto perverso di deflazione perpetua nel quale ci siamo inesorabilmente infilati. Il settore pubblico è l'unico (per ora) ancora tutelato in modo sufficiente da permettermi una vita dignitosa. Non mi sono stupito quando mi è stato riferito che in Regione erano stupiti per la scarsa quantità di giovani che si sono presentati al concorso (generazione 89 - 95 per l'appunto). Nella nostra generazione è fortemente radicata l'idea che "privato bello, pubblico brutto", oppure "privato soldi a palate, pubblico stipendi bassi". Sempre e comunque in linea con la "porcilaia liberale" descritta sopra. Come dicevo non mi sono stupito della cosa, ma ho preso coscienza del dato incontrovertibile che, purtroppo, appartengo a quella minoranza che ha fatto tesoro di certi insegnamenti (di provincia) e ha fatto proprie molte delle visioni poste in evidenza dai canali di in-formazione alternativi, non appartenenti al mainstream. Vorrei scrivere ancora molto, ma immagino ci saranno le opportunità dentro e fuori da questo blog per farlo. Sul mio onore prometto che non mancherò.
    Nel ringraziare tutti per l'opportunità vi mando un caro saluto.
    Con affetto,
    Giacomo

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    1. Grazie per il corposo commento.

      Mi congratulo per la scelta, che reputo saggia e ben ponderata. Sulle scelte pubblico- privato mi sono promesso di dedicare una discussione apposita, anche per evidenziare alcune differenze territoriali (non mi meraviglia che in Veneto i concorsi pubblici siano poco appetibili ancora oggi. Nel Mezzogiorno è ben diverso).

      Per quanto attiene alle esperienze individuali, spero che si possa raccogliere un certo numero di risposte come le Sue per poter iniziare un discorso collettivo: la tesi di fondo è che al netto delle naturali differenze territoriali vi sia un'omogeneità di fondo che ha portato collettivamente "we un-happy few" a precise scelte personali.

      Se vuole scrivere altro non ha che da chiedere.

      Buona domenica.

      PS: io uso il velluto a coste, d'inverno riscalda alla grande :)

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  3. Ho sempre pensato anch'io le stesse cose (nato nel 90) e se torno indietro agli anni delle elementari quando "c'era ancora la lira" noto che:

    - In classe eravamo in 16, oggi non ho idea perché non ho figli ma immagino che ci siano classi-pollaio con più di 20 bambini, assurdo.
    - Non c'era nessuno straniero, né nella mia classe né in tutta la scuola. Non che voglia significare qualcosa ma, con buona pace dei progressisti nostrani, l'integrazione fra bambini italiani e stranieri comporta tutta una serie di problemi (linguistici, culturali, ecc.).
    - I miei genitori e i genitori degli altri miei compagni avevano TUTTI un lavoro. Non oso immaginare ora come possa essere la situazione con precariato e crisi, è devastante per un bambino crescere in una famiglia in cui si fatica ad arrivare alla fine del mese.
    - Nessuno (o comunque pochi) aveva genitori separati o divorziati. Ora con i divorzi alle stelle e le "famiglie allargate" la situazione è tragica.
    - Si guardava al futuro in maniera positiva, non si pensava come ora che le cose potessero solo peggiorare. I giornali e la TV non dicevano ad ogni pié sospinto che siamo buoni a nulla, che siamo dei falliti ladri e corrotti.

    Tengo a precisare che non sono andato in una scuola di elite in centro a Milano, ma in una scuola di provincia in cui i nostri genitori erano tutti impiegati/operai/artigiani/commercianti, la famosa "classe media". Nessuno aveva il famoso "papi con la fabbrichètta".

    Siamo stati l'ultima generazione ad aver goduto degli ultimi scampoli di benessere italiano. Non ci possono fregare quando dicono che "con le lire stavamo peggio" perché semplicemente NON È VERO. L'abbiamo visto con i nostri occhi il benessere, non parlateci di carriole e di liretta.

    Mi dispiace per le generazioni odierne cresciute a pane e propaganda. L'unica cosa che possiamo fare noi è testimoniare.

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  4. Direi che mi riconosco in tutti i punti a parte il quarto ed il quinto, perché sono nato vari anni prima. Trovo anzi molto bella la consonanza tra italiani di regioni diverse e nati in epoche differenti, come a rimarcare sia il successo dell'unità nazionale sia l'idea dell'unità diacronica e sincronica dei lavoratori.

    Oltre alla "plumbea cappa mortale del governo Monti-Letta" vorrei ricordare anche il cupo periodo premontiano (o tremontiano) caratterizzato dalla riforma Gelmini: era chiaro che eravamo in una guerra ed il nemico eravamo (e siamo) noi. “Noi” nel senso di cittadini comuni, di lavoratori o, se preferite, di popolo, di classi subalterne.

    Esperienze di vita e di lavoro all'estero nel corso di molti anni credo mi abbiano aiutato a sviluppare una visione molto nitida, ad altissima definizione, su vari aspetti del nostro Paese che tra gli italiani residenti in Italia ho trovato in pochissimi, e quasi tutti conosciuti in rete.

    Non posso che ringraziare il nostro ospite, che conosco attraverso i suoi scritti, per avere aperto questo spazio di confronto e di cultura.

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  5. Grazie.
    Il post che rispecchia abbastanza fedelmente il mio percorso, (nato nel ‘86), prima attirato dal nascente movimento di Grillo, dal quale mi sono allontanato circospetto prima della nascita del Movimento, poi, dopo un periodo senza riferimenti se non l’avversione ai governi Monti, nel 2014 arriva la folgorazione ascoltando Claudio Borghi un pomeriggio su una emittente nazionale, che confermava sostanzialmente quello che embrionalmente ero arrivato a pensare in autonomia. Da qui, cercandolo su twitter, che all’epoca usavo, molto poco, come “rassegna stampa” entro in contatto con tutto il mondo critico verso UE ed € (per miei gusti soprattutto Borghi, Bagnai, Barra Caracciolo Giacchè ed altri 10 profili che si celano dietro pseudonimi ).
    Reputo fondamentale per questo mio percorso, come riportato nell’articolo, l’essere cresciuto in un piccolo paese di provincia, ma anche l’aver dovuto lavorare già dai 16 anni, per dare una mano in famiglia, in un luogo pubblico. Ciò mi ha dato modo di provare in prima persona le “tribolazioni” della gente (e non solo della mia “bolla”), condividendo esperienze ed opinioni, entrando con loro in empatia, cosa che non ho ritrovato in quasi tutti i colleghi ed amici del mio percorso universitario.
    Unica nota con la quale non sono in accordo è il punto 9. Il mio scetticismo verso i 5S, la scarsa consapevolezza a livello generale dei problemi posti dalla UE e UEM, e il travaglio (sic) nella scelta di alcuni ministeri chiave al netto della speranza, non mi aveva dato molte illusioni circa la tenuta sul lungo periodo del governo giallo-verde (pensando che comunque sarebbe durato circa 2 anni o poco più).
    Teniamo duro. Cercando di mantenere obiettività.
    E di nuovo grazie per l’articolo.
    Tiberio

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